Artemisia Gentileschi. Coraggio e passione.

Genova – Palazzo Ducale
Fino al 1 aprile 2024
A cura di Silvana Gatti

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Fino al 1° aprile 2024, nei saloni dell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale di Genova, una mostra con i capolavori di Artemisia Gentileschi, artista dalla vita ricca di colpi di scena, fallimenti e successi. Una donna segnata dalla prematura scomparsa della madre, dall’impossibilità di affermarsi come pittrice, dallo stupro.
La mostra, a cura di Costantino D’Orazio, è articolata in 10 sezioni, con 50 opere provenienti da tutta Europa e dagli Stati Uniti. Promossa e organizzata da Arthemisia con Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Comune di Genova e Regione Liguria, rientra nell’ambito delle iniziative di Genova Capitale Italiana del Libro 2023 e vede come sponsor Generali Valore Cultura, special partner Ricola, media partner Il Secolo XIX e mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale. La mostra rientra nel progetto “L’Arte della solidarietà” realizzato da Arthemisia con Komen Italia, charity partner della mostra. Il catalogo è edito da Skira e a cura di Costantino D’Orazio.
Nella prima metà del Seicento Artemisia Gentileschi ha lavorato per le corti più prestigiose d’Europa, ricevendo medaglie, ritratti dipinti da pittori illustri, poemi e incisioni. Nel 1611 è stata vittima di stupro da parte del pittore Agostino Tassi, ma grazie alla sua caparbietà ha superato i pregiudizi della gente dedicandosi all’arte. Questa mostra ricostruisce gli episodi della sua vita, documentando il suo contribuito al rinnovamento della pittura, sulle orme di Caravaggio.
La carriera di Artemisia è aperta e chiusa dallo stesso soggetto: la scena biblica in cui Susanna, durante il bagno, viene spiata da due uomini che minacciano di diffamarla pubblicamente se non cede alle loro richieste. Il dipinto di Pommersfeld, datato 1610, eseguito sotto la supervisione del padre Orazio, è considerato il primo quadro di Artemisia, mentre la versione di Brno (1649) si inserisce nell’ultimo periodo della sua carriera. Due opere che documentano la pittura di un’artista la cui tavolozza, nell’arco di quarant’anni, diventa sempre più cupa, mentre la rappresentazione delle figure diventa più sicura. La luce tenue dell’insegnamento del padre Orazio cede il passo ai forti contrasti caravaggeschi.
Il XVI secolo vede un’evoluzione dell’attività delle artiste. Mentre nel secolo dipingevano soprattutto le monache nei conventi, nel Cinquecento diverse donne lavorano come i colleghi maschi. Mentre Artemisia si autoritrae con la corona di alloro in segno di trionfo, Properzia de’ Rossi accede al cantiere pubblico più prestigioso di Bologna con le sue sculture, Sofonisba Anguissola viene nominata pittrice di corte presso il Re di Spagna e Lavinia Fontana ottiene l’incarico di ritrarre il papa. Artiste che danno il via ad uno stile che raffigura le emozioni. Basta osservare la piccola miniatura su avorio di Rosalba Carriera, con una giovincella che trattiene tra le braccia una colomba: il suo sguardo adolescenziale è messo a confronto con quello di Sofonisba, che conquisterà il plauso di tutti i più grandi artisti del suo tempo. Come Angelika Kauffmann, che firmando l’atto di fondazione della Royal Academy of Arts nel 1768 diventa un’autorità assoluta in tutta Europa.
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La terza sezione affianca diverse tele del padre Orazio con altre di Arthemisia. Molto bello il dipinto del padre in cui Artemisia è raffigurata, ancora bambina, mentre suona la spinetta nelle vesti di Santa Cecilia. Dipinti dei due artisti, con lo stesso soggetto, documentano come la ragazza abbia sviluppato un proprio linguaggio, tanto da essere ammessa, prima donna in assoluto, all’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze (1616). Esposti la Madonna con bambino dormiente in un paesaggio dei Musei di Strada Nuova - Palazzo Rosso di Genova, dove vediamo un’Artemisia neonata, la Santa Cecilia suona la spinetta e un angelo della Galleria Nazionale dell’Umbria, dove Orazio dipinge il volto di Artemisia a circa dieci anni, e la Sibilla del Museum of Fine Arts di Houston, dove Artemisia è una ragazza ormai matura.
Nella quarta sala si trova la ricostruzione virtuale del Casino delle Muse di Palazzo Pallavicini Rospigliosi, voluto sul Quirinale dal Cardinal Scipione Borghese nel 1611. Affrescato da Orazio Gentileschi e Agostino Tassi, cela la presenza di Artemisia. La scena rappresenta un concerto, la cui orchestra è composta da sole donne, con la presenza di una ragazza che nulla ha a che fare con le suonatrici. In quel volto Orazio ritrasse la figlia Artemisia. Pochi mesi prima di questo affresco, Agostino Tassi si era macchiato della terribile violenza su Artemisia, e Orazio sperava in un matrimonio riparatore per la ragazza, la cui immagine su questo soffitto potrebbe costituire un messaggio rivolto al collega.
Si prosegue con tre marine di Agostino Tassi che si stagliano dietro splendide architetture di stampo barocco.
Le donne di Artemisia riscuoteranno un tale successo da meritare numerose repliche, come nel caso dell’arazzo degli Uffizi, realizzato dieci anni dopo la morte della pittrice e restaurato in occasione della mostra. Nella sala successiva sono esposti gli Atti originali del processo per stupro del 1612, concessi dall’Archivio di Stato di Roma.
Nella quinta sezione sono esposte diverse opere di Artemisia con la scena in cui Giuditta decapita Oloferne. Questo soggetto vede Artemisia soddisfare con originalità alle richieste dei collezionisti. In questo dipinto si può leggere il desiderio di vendetta della donna contro il suo stupratore. In Giuditta e la sua ancella si cela la sua delusione per il tradimento della governante Tuzia che assecondò la violenza accusando Artemisia di aver provocato le attenzioni di Agostino. Opere che, purtroppo, riflettono la storia di molte donne contemporanee, vittime della violenza di uomini che spesso rimangono impuniti.
La sesta sezione - a cura di Anna Orlando - è dedicata alla città della lanterna di inizio Seicento e al caravaggismo introdotto da Orazio Gentileschi a Genova che vi soggiorna dal 1621 al 1625. All’inizio del XVII secolo Genova è una città in ascesa economica e diventa una capitale artistica, con la nascita di una scuola pittorica che attrae artisti da tutta Italia e dall’estero. Dalle Fiandre arrivano artisti come Rubens e Van Dyck. La selezione di opere genovesi in questa sala documenta la predilezione dei soggetti caravaggeschi, con il San Giovannino di Strozzi e le diverse versioni dell’iconografia di Giuditta e Oloferne.
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L’unico genovese a conoscere personalmente Caravaggio è stato Domenico Fiasella, giunto a Roma intorno al 1606 dalla natia Sarzana. Nella sua bottega genovese (aperta dopo il 1616) viene accolto il figlio di Orazio Gentileschi, Francesco. Il caravaggismo di Fiasella ha influenzato la scuola locale, anche il cognato Giovanni Battista Casoni ne emula lo stile giocando con gli effetti di una luce artificiale. Nel terzo e quarto decennio del Seicento diversi pittori genovesi si confrontano con Caravaggio, tra cui Gioacchino Assereto, che interpreta in modo personale il naturalismo caravaggesco. Il fratello maggiore di Orazio, Aurelio Lomi, era stato a Genova dal 1597 al 1604 e aveva lavorato anche per la famiglia Sauli. Gio. Antonio Sauli, finanziere con interessi a Milano, Napoli e Roma, si trova nella Città Eterna nella primavera del 1621. Lì vede le opere del Gentileschi e lo vuole a Genova, dove il pittore esegue per lui alcuni tra i suoi capolavori: tra gli altri, il Lot e le figlie e la Danae, oggi al Getty Museum di Los Angeles. Un nipote del Sauli, Antonio II Grimaldi Cebà, è il probabile committente della pala con l’Annunciazione oggi nella cappella di famiglia della chiesa di S. Siro (1622 circa). Per Marcantonio Doria, il committente dell’ultimo quadro di Caravaggio (il Martirio di sant’Orsola del 1610), affresca nel 1624 il piccolo «casino» della sua villa di Sampierdarena (distrutto). Orazio vanta a Genova dei clienti altolocati, ma ambisce a diventare pittore di corte, con uno stipendio fisso: cerca di convincere Carlo Emanuele I di Savoia, inviandogli da Genova nel 1623 la versione dell’Annunciazione oggi alla Galleria Sabauda. Nella primavera del 1625, Orazio lascia Genova. Vi resta il figlio Francesco, accolto nella bottega dell’amico pittore Domenico Fiasella. Nessun documento attesta la presenza di Artemisia, di cui però era già giunta la fama, con l’arrivo di alcuni suoi capolavori nelle quadrerie della Superba.
I quadri esposti nella settima sezione testimoniano il talento di Orazio Gentileschi, che troviamo coinvolto in alcuni processi, soprattutto a fianco di Caravaggio con cui per alcuni anni collabora. Molto bello il dipinto di San Francesco e l’Angelo, al pari del David, che documenta un nuovo tipo di immagine meditativa introdotta da Caravaggio, raffigurante il giovane nel momento successivo all’uccisione del gigante e non, come di consueto, nell’atto di decapitarlo o trionfante mentre tiene in mano il trofeo della testa mozzata. Il soggetto è tratto dal capitolo 17 del primo Libro di Samuele, libro storico dell’Antico Testamento, in cui Davide, futuro re di Israele, uccide Golia, guerriero dell’esercito dei filistei in lotta con il popolo ebraico per il possesso del territorio di Canaan (1 Sam 17, 42b). Nella tela di Gentileschi i due personaggi sono quasi faccia a faccia, e Davide non si compiace del proprio successo ma, impietosito, tiene l’arma nell’ombra. Nella bottega di Antiveduto Gramatica i giovani Orazio e Caravaggio hanno mosso i primi passi nella professione di pittore, lasciando poi il loro segno indelebile in molte chiese e palazzi di Roma.
Due giorni dopo la condanna di Agostino Tassi, il 29 settembre 1612, Artemisia sposa Pierantonio Stiattesi, fratello di Giovanbattista, il notaio che ha sostenuto la famiglia Gentileschi durante il processo presentando ai giudici le prove della colpevolezza di Agostino. Con l’aiuto di Pierantonio, Artemisia a Firenze lavora per il Granduca Cosimo II e per alcuni personaggi della città. La pittrice apre una piccola bottega e firma i suoi dipinti ‘Artemisia Lomi’, utilizzando il cognome dei parenti del padre. Artemisia si afferma come una delle artiste più richieste della città, frequenta la corte dei Medici e nel 1616 è la prima donna ad essere ammessa all’Accademia delle Arti del Disegno. Dei quattro figli che Artemisia dà alla luce a Firenze - Giovan Battista (1613), Cristofano (1615), Prudenzia Palmira (1617) e Lisabella (1618) - soltanto Prudenzia sopravvive e parte con i genitori alla volta di Roma alla fine del 1620.
Dopo il processo, per oltre quarant’anni Artemisia dipinge prevalentemente donne protagoniste della storia e della Bibbia: Giuditta, Cleopatra, Minerva, Maddalena, Dalila, Susanna sono le sue eroine, forti, a volte violente, indipendenti, sicure di sé, sensuali. Sono dipinti autobiografici in quanto le sue eroine sono quasi tutte il suo autoritratto.
Nella nona sezione è esposto il dipinto di Artemisia Sansone e Dalila, che risale al periodo di soggiorno napoletano di Artemisia e narra un episodio biblico. Dalila venne chiamata dai filistei per scoprire il segreto della forza di Sansone, destinato sin dalla nascita ad essere un nazireo. Sansone rivelò a Dalila che, se qualcuno gli avesse tagliato i capelli, avrebbe perso il suo potere.
Fu così che Dalila chiamò un uomo per farglieli tagliare. La pittrice raffigura il taglio di capelli, rendendo Dalila protagonista dell'atto e facendo indossare ai suoi personaggi abiti seicenteschi.
Questo è un altro dipinto in cui Artemisia raffigura il momento in cui le donne uccidono un uomo, cercando di attuare quella vendetta e quel riscatto che non le erano stati concessi in vita.
Si passa alla decima sezione con L’Annunciazione, datata 1630 e firmato su un cartiglio ‘Artemisia Gentilescha’.
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A Napoli Artemisia recuperare con coraggio il suo cognome e aderisce al caravaggismo. In questa tela è evidente l’uso esteso del buio, attraversato da squarci di luce che esaltano le figure dell’angelo e della Vergine, mentre la colomba si inserisce fra i due in maniera armoniosa. Artemisia è entrata in uno dei circuiti più elitari del collezionismo europeo, realizzando quadri per l’imperatrice Eleonora Gonzaga, suocera dell’infanta di Spagna Maria Anna d’Austria.
L’ultima sezione documenta il periodo in cui Artemisia si trasferisce, nel 1630, a Napoli, grazie ai rapporti maturati con Fernando Afán de Rivera, Duca di Alcalá e Viceré di Napoli, che nel 1629 ha acquistato tre dipinti della pittrice.Da Napoli, dove arriva con il fratello Francesco e la figlia Prudenzia, Artemisia intrattiene una fitta corrispondenza con Cassiano dal Pozzo, celebre erudito e suo committente, con il Duca di Modena Francesco I d’Este e con Ferdinando II de’ Medici, che ottengono suoi quadri, mentre Galileo Galilei e don Antonio Ruffo sono suoi consiglieri e mediatori. Se si esclude la parentesi inglese, quando nel 1638-39 si reca a Londra per lavorare col padre Orazio alla corte di re Carlo I, Artemisia non si sposterà mai da Napoli, dove produrrà molte opere con l’aiuto del fratello Francesco. Diventata la pittrice più celebre d’Europa, si circonda di allievi e collaboratori, dipingendo alcune pubbliche per la Cattedrale di Pozzuoli. Muore intorno al 1653, in una data ancora non confermata: la sua tomba nella Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini è andata perduta negli anni ’50 del Novecento, quando l’edificio è stato abbattuto per fare spazio ad un moderno condominio.
Un evento importante è l’esposizione dell’Allegoria dell’Inclinazione, dipinto da Artemisia per Casa Buonarroti di Firenze: un autoritratto senza veli - che solo in seguito verrà coperto da un drappo dipinto - in cui la pittrice si raffigura come l’ispirazione che ha guidato l’intera opera di Michelangelo. La tela, dal 1616 sul soffitto di una delle sale di Casa Buonarroti, è esposta per la prima volta in una mostra fuori dalla sua sede naturale.
Artemisia fu protagonista del primo processo mediatico della storia, in cui i giudici insinuavano che se era stata stuprata è perché se lo era anche cercato. Niente di nuovo sotto il sole, visto che purtroppo a distanza di quattrocento anni le notizie di cronaca parlano spesso di stupri e femminicidi. Artemisia, dopo aver vinto il processo, diventa l’artista più richiesta nelle corti d’Europa, viaggia da una città all’altra, si sposta a Firenze, Venezia, Londra, Napoli, ha un marito di facciata e un amante che non nasconde, ha quattro figli; diventa una donna realizzata, anticipando di molto i tempi moderni.